La Cassazione ha stabilito che le chat non sostituiscono la prova sanitaria richiesta dal CCNL
La sentenza Cass. civ., sez. lav., 7 ottobre 2025, n. 26956 affronta una questione molto importante: può una comunicazione su WhatsApp o tramite chat aziendale “salvare” il lavoratore dal licenziamento per superamento del periodo di comporto? La risposta è netta: no. Se il CCNL Logistica, Trasporto merci e Spedizioni pretende, per escludere dal conteggio alcune assenze, una certificazione medica che indichi espressamente la “patologia grave che richiede terapia salvavita”, l’informazione informale non basta. È un richiamo di metodo e di forma: quando la tutela dipende da una deroga alla regola generale del conteggio, quella deroga va provata con gli atti e nei canali previsti, non con messaggi o scambi informali.
Il quadro contrattuale: soglie di 245/365 giorni e una sola eccezione “stretta”
L’art. 63 CCNL Logistica prevede la conservazione del posto per 245 giorni (anzianità fino a 5 anni) o 365 giorni (anzianità oltre 5 anni). Al superamento, il datore può recedere. Tuttavia, il comma 8 introduce una eccezione: dal computo si escludono le assenze dovute a “malattie particolarmente gravi” verificatesi in un arco di 24 o 30 mesi (a seconda dell’anzianità). La Cassazione qualifica tale nozione come clausola generale “elastica”: il suo contenuto si determina tramite i canoni degli artt. 1362 ss. c.c. (letterale, sistematico, teleologico), guardando anche al contesto medico e alla prassi inter-contrattuale. Risultato: per questo CCNL, “malattia particolarmente grave” significa condizione che impone una terapia salvavita, indispensabile alla sopravvivenza o al miglioramento essenziale della qualità di vita.
Perché WhatsApp non ha valore sostitutivo
Il punto è probatorio: chi invoca l’eccezione deve provarla. Non spetta all’azienda trasformare le informazioni ricevute in diagnosi; spetta al lavoratore trasmettere certificazioni che riportino la dicitura richiesta (“patologia grave che richiede terapia salvavita”). Nel caso deciso, tutta la documentazione medica ricevuta dall’azienda non recava quella indicazione. La Corte evidenzia che gli scambi WhatsApp con il responsabile di filiale hanno, al più, valore informativo interno, ma non medico-legale: non attivano l’eccezione né sospendono il conteggio. Se la “spunta” manca nel certificato, i giorni si sommano.
Il perimetro del controllo in Cassazione: niente vizio ex art. 360 n. 5 c.p.c. sulle chat
Sul versante processuale, il ricorso che lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo non può ridursi alla critica della valutazione di elementi istruttori. Le Sezioni Unite hanno chiarito che rileva solo l’omesso esame di un fatto storico decisivo, effettivamente discusso. Se le chat sono state considerate ma giudicate irrilevanti perché prive del valore richiesto (sostitutivo della certificazione), il motivo è inammissibile.
Implicazioni operative per HR e aziende
Per le aziende:
Istruzioni chiare ai dipendenti su canali e tempi per l’invio dei certificati;
Checklist per ogni certificazione ricevuta: presenza della dicitura salvavita, periodo di malattia, data di rilascio, arco di riferimento 24/30 mesi, conteggio aggiornato;
Separazione netta dei flussi: le chat restano comunicazioni informali; la prova sanitaria abita il fascicolo personale. In assenza della formula richiesta, l’assenza resta computabile e il licenziamento per superamento del comporto si espone a minori rischi di invalidazione.
Implicazioni pratiche per i lavoratori
Per i lavoratori, la decisione trasmette un messaggio semplice:
Chiedere al medico di indicare espressamente la “patologia grave che richiede terapia salvavita” quando ne ricorrono i presupposti;
Inviare la certificazione entro i termini e ai recapiti previsti dal CCNL (telefono/email dedicati, PEC, ecc.);
Conservare copie e ricevute di trasmissione;
Richiedere subito un’integrazione se la dicitura è stata omessa per errore. Davanti a patologie effettivamente riconducibili a terapie salvavita, la forma è ciò che consente all’eccezione di operare e di tutelare in concreto.
Conclusioni
La sentenza n. 26956/2025 non introduce barriere nuove: razionalizza una clausola elastica ancorandola a un criterio oggettivo (terapie salvavita) e a un onere probatorio formale (certificazione con dicitura specifica). Il messaggio per tutti gli operatori è chiaro:
Le chat (WhatsApp o altre) non attivano l’eccezione;
La certificazione corretta sì. Ne deriva maggiore certezza nei conteggi, prevedibilità delle decisioni e un contenzioso più selettivo, davvero incentrato sulle situazioni meritevoli di tutela perché documentate secondo le regole del CCNL.