Non può sollevare più di 15 kg: il licenziamento è nullo, la parola alla Cassazione

Con l’ordinanza n. 23481 del 18 agosto 2025, la sezione lavoro della Cassazione ha ribadito un concetto fondamentale: quando un lavoratore presenta limitazioni fisiche permanenti – come il divieto di sollevare pesi oltre i 15 chili – il datore di lavoro deve provare di aver valutato e messo in atto ogni possibile misura organizzativa per permettergli di restare in servizio. Il caso riguarda un autista addetto al trasporto e alla consegna di pacchi che, dopo un infortunio, era tornato operativo ma con alcune restrizioni fisiche. La Cassazione ha confermato la reintegra e il risarcimento già disposti dalla Corte d’Appello di Roma.

I fatti e l’iter giudiziario

S.G., dipendente di una società di logistica, nel 2015 subisce un infortunio sul lavoro che gli lascia una limitazione permanente: non movimentare pacchi oltre i 15 kg. Nonostante questo, continua a svolgere le sue mansioni regolarmente, ricevendo supporto dai colleghi nei casi che richiedono sforzi maggiori.

Nel luglio 2017, l’azienda procede al licenziamento, motivandolo con una presunta inidoneità fisica e dichiarando di non avere margini organizzativi per adeguare il lavoro alla sua condizione. Il dipendente impugna il licenziamento e ottiene ragione in primo grado. In appello, la Corte di Roma conferma la decisione e dispone:

  • la reintegrazione immediata nel posto di lavoro;
  • il risarcimento economico per le retribuzioni perse dal licenziamento fino alla reintegra;
  • il versamento dei contributi previdenziali maturati nel periodo di esclusione.

Il ricorso in Cassazione

La società propone ricorso in Cassazione con cinque motivi principali:

  • contestazione della ricostruzione dei fatti, in particolare sulla reale disponibilità di un collega di supporto;
  • mancanza di motivazione sull’effettiva possibilità di riorganizzare il lavoro;
  • errata valutazione della durata necessaria dell’affiancamento;
  • mancata verifica della proporzionalità tra costi e benefici delle modifiche organizzative;
  • omesso esame della natura duratura della limitazione fisica, fondamentale per l’applicazione della disciplina antidiscriminatoria.

La decisione della Suprema Corte

La Cassazione respinge integralmente il ricorso, confermando la correttezza della sentenza della Corte d’Appello. I giudici hanno chiarito che, una volta riconosciuta la limitazione fisica, è compito del datore documentare gli sforzi concreti fatti per adattare l’ambiente di lavoro e garantire la continuità occupazionale del dipendente.

Non è sufficiente affermare che non ci siano mansioni alternative disponibili: è necessario provare di aver attivato misure specifiche, come ad esempio:

  • ridistribuire i carichi più pesanti;
  • prevedere un collega di supporto per i compiti gravosi;
  • riorganizzare gli orari o i percorsi di consegna per evitare attività non compatibili con la nuova condizione fisica.

Nel caso in questione, la società non aveva prodotto alcuna prova di aver effettuato tali valutazioni o di aver sperimentato soluzioni organizzative. Per questo il licenziamento è stato ritenuto illegittimo, con conseguente diritto alla reintegra e al risarcimento.

Il concetto di accomodamento ragionevole

Che cos’è l’accomodamento ragionevole

Il concetto di “accomodamento ragionevole” deriva dal diritto dell’Unione Europea. Si tratta di tutte le misure pratiche e proporzionate che permettono a un lavoratore con disabilità o con limitazioni fisiche di continuare a svolgere le proprie mansioni, evitando discriminazioni.

Limiti all’obbligo datoriale

La Cassazione precisa che questo obbligo non è illimitato: il datore di lavoro può giustificare l’assenza di interventi solo se dimostra che le modifiche richieste:

  • non sono realisticamente applicabili;
  • comportano costi eccessivi rispetto alle risorse dell’impresa;
  • alterano in modo sproporzionato l’organizzazione del lavoro.

In mancanza di questa dimostrazione, il licenziamento è nullo.

L’impatto della sentenza

L’ordinanza n. 23481/2025 è un segnale forte a tutela di tutti i lavoratori che, a seguito di infortuni o malattie, si trovano a dover affrontare restrizioni fisiche permanenti. Per i dipendenti, questa decisione rafforza la possibilità di opporsi a licenziamenti ingiustificati. Per le aziende, rappresenta un invito a gestire in modo proattivo e documentato i casi di ridotta idoneità fisica, evitando di scaricare le conseguenze sul lavoratore.

Conclusione

La decisione della Cassazione ribadisce un principio fondamentale: il diritto a un ambiente di lavoro inclusivo e rispettoso delle limitazioni fisiche dei dipendenti non è solo teorico, ma trova concreta applicazione nei tribunali. Il caso del corriere che non poteva più sollevare oltre 15 chili diventa un precedente importante per tutti i lavoratori, dimostrando che il datore deve sempre provare di aver valutato ogni possibile soluzione prima di arrivare al licenziamento.