La Corte di Cassazione è tornata ad affrontare un tema delicato e di grande rilevanza pratica: l’uso corretto dei congedi parentali e i confini entro i quali il lavoratore può esercitare questo diritto. Con una recente ordinanza del 9 settembre 2025, n. 24922, i giudici di legittimità hanno confermato la legittimità del licenziamento disciplinare intimato a un dipendente di una società, accusato di aver abusato del beneficio assentandosi dal lavoro senza utilizzare il tempo concesso per l’effettiva cura del figlio.
La vicenda si inserisce nel filone giurisprudenziale che assimila l’abuso dei congedi parentali a quello dei permessi ex legge 104/1992, affermando un principio chiaro: quando il diritto viene esercitato in modo difforme dalla sua funzione, si configura una violazione grave dei doveri di correttezza e buona fede nei confronti del datore di lavoro e dell’ente previdenziale.
I fatti di causa
Il lavoratore aveva fruito di un periodo di congedo parentale, con l’obiettivo dichiarato di occuparsi del figlio di tre anni. Tuttavia, a seguito di accertamenti investigativi, era emerso che nei giorni 9, 14, 15 e 16 agosto egli si era dedicato ad attività lavorativa presso lo stabilimento balneare gestito dalla moglie.
Secondo quanto rilevato, la sua condotta non solo non garantiva la presenza paterna in famiglia, ma aveva addirittura reso necessario il ricorso a un aiuto esterno per accudire il bambino, snaturando così la funzione stessa del congedo parentale. Da qui la decisione dell’azienda di procedere al licenziamento per giusta causa.
In primo grado, il Tribunale accoglieva il ricorso e riteneva illegittimo il licenziamento. Ma la Corte di Appello ribaltava la decisione, accertando la legittimità della sanzione espulsiva.
Il ricorso in Cassazione
Il lavoratore si era rivolto alla Suprema Corte con due motivi principali:
Vizi di motivazione e di ammissione delle prove: secondo il ricorrente, la Corte territoriale aveva fondato la propria decisione su mere illazioni, senza ammettere la prova testimoniale da lui richiesta, che avrebbe dimostrato come l’accudimento del figlio avvenisse anche presso lo stabilimento balneare.
Erronea applicazione della normativa sui congedi parentali: l’abuso del diritto – a detta del lavoratore – avrebbe dovuto ravvisarsi solo in presenza di attività sistematiche e continuative incompatibili con l’accudimento della prole, mentre nel caso di specie egli era stato visto lavorare in spiaggia soltanto in cinque giornate su quarantasei complessive di congedo.
La decisione della Cassazione
La Suprema Corte ha respinto il ricorso, confermando integralmente la sentenza della Corte di Appello.
Inammissibilità del primo motivo
Secondo i giudici, l’omessa ammissione di una prova testimoniale è censurabile solo se tale prova avrebbe potuto incidere in modo decisivo sul giudizio. Nel caso di specie, la testimonianza proposta non era idonea a ribaltare il quadro probatorio già acquisito, sorretto da indagini investigative e da una motivazione articolata.
Inoltre, la Cassazione ha ribadito che il giudizio sul ragionamento presuntivo spetta al giudice di merito e non può essere oggetto di un riesame in sede di legittimità, salvo che non vi sia stata l’omissione dell’esame di un fatto decisivo.
Infondato il secondo motivo
Quanto alla contestazione sulla violazione di legge, la Corte ha sottolineato che il congedo parentale è sì un diritto potestativo del lavoratore, ma deve essere esercitato nel rispetto della sua funzione: garantire la cura e la presenza del genitore accanto al figlio nei primi anni di vita.
Lo svolgimento di attività non compatibili con tale finalità, anche se limitato nel tempo, integra un abuso del diritto, perché priva il datore di lavoro della prestazione e tradisce la fiducia riposta nell’utilizzo corretto del beneficio.
L’abuso del congedo parentale e i principi giurisprudenziali
La pronuncia si inserisce in un quadro già consolidato:
Congedi parentali e permessi 104 sono accomunati dalla stessa logica di tutela: garantire cure e assistenza a soggetti deboli, siano essi figli piccoli o familiari disabili.
Qualunque utilizzo difforme da queste finalità rappresenta un uso improprio del diritto, che può giustificare il licenziamento per giusta causa.
La titolarità di un diritto potestativo non equivale a un potere discrezionale o arbitrario: il suo esercizio deve avvenire secondo buona fede e correttezza.
In particolare, la Corte ha richiamato precedenti significativi (Cass. 509/2018; Cass. 6468/2024; Cass. 5906/2025), ribadendo che la condotta abusiva lede non solo il datore di lavoro, ma anche l’ente previdenziale che eroga l’indennità.
La rilevanza pratica per aziende e lavoratori
Questa decisione ha una ricaduta pratica notevole:
Per i datori di lavoro, rappresenta una conferma della possibilità di reagire con fermezza in caso di abusi, purché le contestazioni siano sorrette da prove solide (come relazioni investigative, testimonianze, documentazione).
Per i lavoratori, costituisce un monito sull’uso rigoroso e conforme dei benefici concessi dalla legge: i congedi parentali non possono essere strumentalizzati per attività personali o lavorative estranee alla cura dei figli.
Una riflessione sul bilanciamento degli interessi
Il caso mette in luce il delicato equilibrio tra il diritto del genitore ad assistere il figlio e il diritto del datore di lavoro a ricevere la prestazione lavorativa.
Da un lato, l’ordinamento riconosce ampia tutela alla maternità e paternità, nella consapevolezza che lo sviluppo armonico del bambino richiede la presenza affettiva di entrambi i genitori. Dall’altro lato, la fruizione di tali benefici comporta un sacrificio organizzativo ed economico per l’impresa e per l’ente previdenziale, che non può essere giustificato se viene meno il legame diretto tra assenza e cura del minore.
La giurisprudenza, ormai, sembra orientata a sanzionare severamente ogni forma di sviamento, a prescindere dalla frequenza o dalla durata dell’attività incompatibile con la funzione del congedo.
Conclusioni
La decisione della Cassazione conferma un principio chiaro: l’uso del congedo parentale deve essere strettamente finalizzato all’accudimento del figlio. Qualunque deviazione da questa finalità, anche se occasionale, può integrare un abuso del diritto e legittimare il licenziamento per giusta causa.
La pronuncia, dunque, rafforza l’idea che la tutela accordata al lavoratore-genitore non sia un lasciapassare per attività estranee, ma un beneficio da esercitare con responsabilità e buona fede.
Per le imprese, rappresenta una garanzia di equilibrio; per i lavoratori, un invito a non smarrire il senso della funzione sociale di un istituto che il legislatore ha voluto a protezione della famiglia e dei minori.