Licenziamento per Abuso del Congedo Parentale: Cassazione Sentenza n. 2618/2025

La sentenza della Corte di Cassazione n. 2618 del 4 febbraio 2025 si inserisce nel filone giurisprudenziale riguardante l'abuso del diritto al congedo parentale e il conseguente licenziamento per giusta causa. Il caso in esame ha visto protagonista un dipendente, M.G., licenziato da (OMISSIS) S.p.A. per aver svolto un'attività lavorativa retribuita durante il periodo di congedo parentale, in violazione delle finalità del beneficio previsto dall'art. 32 del D.lgs. n. 151/2001.

1. Il quadro fattuale e le motivazioni della Corte

La Corte di Appello di Roma aveva già confermato la sentenza di primo grado, ritenendo provata la condotta contestata grazie alle risultanze di un'indagine investigativa commissionata dal datore di lavoro. Il lavoratore, nel periodo di congedo, aveva svolto in maniera sistematica attività di compravendita di autovetture attraverso la (OMISSIS) SRL, società della quale era amministratore unico.

La Cassazione, nel rigettare il ricorso del lavoratore, ha confermato che la condotta in esame costituiva un abuso del diritto al congedo parentale, in quanto incompatibile con la ratio dell'istituto, che mira a garantire l'assistenza e la presenza del genitore per il soddisfacimento dei bisogni affettivi e materiali del minore. Il comportamento di M.G. è stato qualificato come una grave violazione dei principi di correttezza e buona fede, nonché del dovere di fedeltà ex art. 2105 c.c., connotandosi per un disvalore sociale significativo.

2. Le questioni giuridiche affrontate

Nel suo ricorso, M.G. aveva sollevato sei motivi di censura, tra cui:

  • La legittimità dell'indagine investigativa, contestando il mancato rispetto delle norme che regolano l'attività delle agenzie investigative.
  • L'acquisizione della documentazione probatoria, ritenuta tardiva e quindi inutilizzabile.
  • L'onere della prova del licenziamento, sostenendo che l'indagine aveva coperto solo quattro giorni e non l'intero periodo di congedo.
  • La proporzionalità della sanzione, rilevando che la condotta era sanzionabile con misure conservative secondo il CCNL applicabile.
  • L'interpretazione dell'art. 32 D.lgs. n. 151/2001, sostenendo che l'attività lavorativa non impediva la cura del minore.
  • La mancata compensazione delle spese processuali, lamentando l'eccessiva onerosità della condanna.

La Suprema Corte ha respinto tutte le censure, ribadendo che:

  • L'investigazione era legittima e le risultanze probatorie idonee a dimostrare l'abuso.
  • L'onere della prova era stato correttamente assolto dal datore di lavoro.
  • Il licenziamento per giusta causa era proporzionato alla gravità della condotta.

3. Le implicazioni della decisione

Questa pronuncia ribadisce il principio secondo cui lo sviamento delle finalità del congedo parentale giustifica il licenziamento per giusta causa. Il diritto al congedo parentale non può essere utilizzato per finalità estranee alla cura del figlio, e qualsiasi condotta che si ponga in contrasto con tale funzione può determinare la perdita del rapporto di lavoro.

Il provvedimento si inserisce in una linea giurisprudenziale che valorizza la correttezza nell'uso degli strumenti di welfare aziendale e pubblico, evidenziando come l'ordinamento sia particolarmente rigido nel sanzionare abusi che possano pregiudicare l'equilibrio tra esigenze lavorative e tutela della genitorialità.

4. Conclusioni

La sentenza n. 2618/2025 conferma un orientamento ormai consolidato della Cassazione in materia di congedo parentale e abusi del lavoratore. L'importanza del principio della buona fede nell'esercizio dei diritti e delle tutele previste dall'ordinamento è qui riaffermata con decisione, a tutela non solo del datore di lavoro, ma anche dell'integrità degli strumenti di welfare familiare.

L'insegnamento che si trae da questa vicenda è chiaro: il congedo parentale deve essere utilizzato per gli scopi per cui è stato concepito, e qualsiasi utilizzo distorto può avere conseguenze estremamente gravi per il lavoratore. La decisione rappresenta quindi un monito per i dipendenti e un chiarimento importante per datori di lavoro e operatori del diritto sulle modalità di gestione di situazioni simili.