Può il nonno prendere l’assegno per il nucleo familiare? La Cassazione dice sì (ord. 28627/2025)
Con l’ordinanza n. 28627 del 29 ottobre 2025, la Corte di Cassazione – Sezione Lavoro stabilisce un principio importante: l’assegno per il nucleo familiare può essere riconosciuto al nonno o alla nonna che, di fatto, mantiene il minore in modo stabile e prevalente.
Il caso nasce da storia familiare: un minore vive con la nonna, che lo sostiene economicamente ogni giorno. La Corte d’appello di Lecce aveva già riconosciuto alla nonna (R.L.) il diritto all’assegno per il nucleo familiare. Secondo i giudici territoriali, né la madre né il padre del bambino erano in grado – o disponibili – a provvedere al suo mantenimento.
L’INPS ha impugnato questa decisione davanti alla Cassazione sostenendo che mancava la prova della “vivenza a carico”, requisito previsto dall’art. 2 del d.l. 69/1988 (convertito nella l. 153/1988). Per l’INPS, la Corte d’appello non avrebbe verificato in modo adeguato se il nipote fosse davvero a carico economico della nonna.
La Cassazione ha respinto il ricorso dell’INPS e ha confermato la decisione favorevole alla nonna.
Che cosa vuol dire “vivenza a carico” (non basta dire “vive con me”)
La Cassazione chiarisce che la “vivenza a carico” non coincide automaticamente con la semplice convivenza e non richiede neppure che il minore dipenda al 100% solo da chi chiede l’assegno.
Secondo i giudici:
bisogna accertare che il minore sia mantenuto in modo continuativo;
e che tale mantenimento sia almeno prevalente rispetto agli altri soggetti obbligati (di norma i genitori).
Quindi la domanda non è solo: “il nipote dorme a casa tua?”. La vera domanda è: “sei tu, nonna/nonno, che ti fai carico in concreto delle spese di vita del minore, in maniera stabile e principale?”
Questo accertamento è un accertamento di fatto, rimesso al giudice di merito (Tribunale e Corte d’appello). In Cassazione può essere attaccato solo nei limiti dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., cioè se la motivazione manca del tutto o è illogica. In altre parole: se la Corte d’appello ha valutato bene le prove, l’INPS difficilmente ribalta la situazione in Cassazione.
La Corte richiama anche il proprio orientamento precedente (Cass. 15041/2024; Cass. 9237/2018), che va nella stessa direzione: conta chi sostiene davvero il minore, non solo l’etichetta “genitore biologico”.
Gli elementi decisivi
La Cassazione elenca i fatti che la Corte d’appello aveva accertato:
Convivenza stabile: il minore viveva con la nonna, non in modo saltuario ma continuativo.
Capacità economica della nonna: la nonna percepiva una pensione sufficiente a coprire in modo costante le esigenze del nipote. Quindi aveva mezzi propri per mantenerlo.
Situazione della madre: la madre non aveva un reddito reale. Aveva lavorato solo due settimane nel 2018, ricavandone 281 euro. Inoltre era affetta da grave patologia, non autosufficiente, e percepiva l’assegno di accompagnamento. Tradotto: non era in grado di mantenere il figlio.
Situazione del padre: il padre aveva un reddito da lavoro part-time, ma nei fatti era totalmente assente. Non conviveva col figlio, non contribuiva al suo sostentamento, non se ne occupava e non aveva nemmeno mai chiesto lui l’assegno familiare.
Mettendo insieme tutti questi dati, i giudici hanno concluso che l’unica figura che garantiva davvero il mantenimento del minore, giorno dopo giorno, era la nonna.
La Corte definisce questi elementi “di sicura pregnanza probatoria” e nota che l’INPS neppure li ha realmente scalfiti. Risultato: il requisito della vivenza a carico è considerato provato.
Serve dimostrare ogni spesa? La Cassazione chiarisce il punto
Un passaggio molto pratico: la Cassazione chiarisce che la prova della vivenza a carico, pur richiedendo rigore, può essere data anche tramite presunzioni.
Tradotto: non è obbligatorio dimostrare ogni singolo euro con scontrini, bonifici nominativi o estratti conto intestati al minore. Il giudice può arrivare alla conclusione guardando l’insieme: convivenza stabile, disponibilità economica del nonno/nonna, assenza o incapacità economica dei genitori, disinteresse del padre.
Questo è essenziale perché molte situazioni familiari reali non sono “contabilizzate”, ma sono evidenti nella quotidianità: chi compra il cibo, chi paga le bollette, chi veste il bambino, chi lo porta dal medico.
La Cassazione dice: se il quadro è univoco e coerente, la prova è raggiunta.
Cosa significa per le famiglie (e per chi vuole chiedere l’assegno)
Dopo questa ordinanza:
Il nonno o la nonna che mantengono davvero il nipote possono ottenere l’assegno per il nucleo familiare.
Bisogna dimostrare:
convivenza stabile con il minore;
mantenimento continuativo e prevalente da parte del nonno/nonna;
incapacità economica o assenza materiale dei genitori.
L’INPS non può dire “no” solo perché formalmente esistono madre e padre: conta chi sostiene davvero il minore.
Sul piano processuale, la Cassazione ha rigettato il ricorso dell’INPS. Non c’è condanna alle spese perché la nonna non si è costituita in giudizio davanti alla Cassazione.
In situazioni come questa – cioè quando è il nonno o la nonna a coprire davvero le spese quotidiane del minore (cibo, scuola, vestiti, visite mediche) – è possibile chiedere all’INPS l’assegno per il nucleo familiare direttamente a proprio nome. In situazioni di questo tipo è consigliabile rivolgersi a un avvocato del lavoro, per essere assistiti sia nella richiesta dell’assegno familiare all’INPS sia nel recupero degli arretrati quando il minore è mantenuto dai nonni.
In sintesi: se i nonni sono, di fatto, i veri genitori economici del nipote, l’ordinamento lo riconosce anche sul piano dell’assegno familiare.