Infortunio sul lavoro: riparto degli oneri di prova e dovere di vigilanza del datore (Cass. civ., sez. lav., ord., 24 settembre 2025, n. 26021)

Perché questa ordinanza merita attenzione

Con l’ordinanza n. 26021/2025 la Cassazione lavoro rimette in asse la responsabilità per infortuni ex art. 2087 c.c.: la responsabilità è contrattuale e il riparto degli oneri di allegazione e prova segue l’art. 1218 c.c. Il lavoratore deve provare evento, nesso con l’attività e danno; il datore di lavoro deve fornire la prova liberatoria di aver adottato tutte le misure prevenzionistiche – tecniche, organizzative e procedurali – e di averne vigilato l’osservanza effettiva. Non è richiesto al lavoratore di ricostruire la regola cautelare specifica violata né la dinamica “al millimetro”.

I fatti essenziali

Un addetto alla trafila subisce un infortunio durante un’operazione di taglio di materiale metallico, con esiti sanitari rilevanti (indennizzo INAIL del 28%).

  • Tribunale di Piacenza: rigetto della domanda risarcitoria, ritenuto assente il danno differenziale rispetto all’indennizzo INAIL; condanna alle spese.

  • Corte d’appello di Bologna: conferma il rigetto sulla responsabilità, ma compensa le spese richiamando l’eterogeneità della giurisprudenza su art. 2087 c.c.; imputa al lavoratore il difetto di prova della dinamica precisa e valorizza DPI, formazione e DVR.

  • Ricorso per cassazione: il lavoratore deduce violazione dell’art. 2087 c.c. e dei principi sul riparto degli oneri in ambito contrattuale.

Il principio di diritto riaffermato: 2087 c.c. dentro l’art. 1218 c.c.

La Suprema Corte richiama un tracciato consolidato (Sez. Un. 13533/2001; Cass. 9817/2008; Cass. 12041/2020):

  • nella responsabilità contrattuale, il creditore (lavoratore) allega l’inadempimento e prova evento, nesso e danno;

  • il debitore (datore) deve provare l’adempimento o la non imputabilità (prova liberatoria).

Tradotto in materia di sicurezza: il lavoratore descrive l’infortunio e dimostra che è avvenuto in occasione di lavoro e quali conseguenze ne sono derivate; da quel momento, l’onere si sposta sul datore, chiamato a dimostrare l’intera filiera della prevenzione adottata e fatta rispettare.

Dinamica perfetta: cosa non grava sul lavoratore

La decisione corregge un equivoco frequente nei giudizi di merito: pretendere dal lavoratore la prova degli indici di nocività dell’ambiente o la ricostruzione dettagliata della dinamica significa, in sostanza, addossargli la prova della colpa datoriale. Ma nella responsabilità contrattuale la colpa (cioè l’inadempimento all’obbligo di sicurezza) è onere del datore. Resta fermo che il lavoratore deve provare il nesso causale fra attività e evento; tuttavia non gli compete individuare la regola tecnica o organizzativa violata: questo attiene all’adempimento dell’obbligo di protezione e grava sul datore.

DPI e formazione non bastano: centrale la vigilanza effettiva

L’ordinanza valorizza il profilo sovente trascurato nei giudizi: la vigilanza. Non è sufficiente dimostrare di avere consegnato DPI o erogato formazione: occorre provare che l’organizzazione aziendale ha reso effettive le misure, con preposti identificati, controlli documentati, richiami e azioni correttive. La giurisprudenza di legittimità è chiara: la condotta imprudente del lavoratore non esonera di per sé il datore; l’effetto esimente è limitato alle ipotesi di comportamento abnorme (il c.d. rischio elettivo) che si ponga come causa esclusiva dell’evento, estranea alle normali modalità di lavoro e alle direttive impartite.

Danno differenziale: perché la prova “contabile” non basta

Il confronto aritmetico fra indennizzo INAIL e danno civilistico non esaurisce il tema. Anche nelle azioni per danno differenziale si applicano le regole della contrattuale: il lavoratore prova evento–nesso–danno; il datore deve dimostrare l’adempimento pieno all’obbligo di sicurezza (valutazione dei rischi, misure, procedure, formazione/addestramento, vigilanza). Ridurre la decisione al mero scarto percentuale non è conforme al quadro delineato dalla Corte.

Perché la sentenza d’appello è stata cassata

La Corte d’appello ha:

  1. richiesto al lavoratore una dinamica  dell’evento;

  2. ritenuto assorbente la presenza di DPI/formazione/DVR senza verificare l’effettività e la vigilanza;

  3. confinato il dovere di vigilanza come profilo estraneo alla domanda, mentre è parte intrinseca dell’obbligo di sicurezza.

Da qui la cassazione con rinvio alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, per il riesame alla luce del corretto riparto degli oneri e della necessità di accertare la vigilanza.

Implicazioni operative per datori, difensori e consulenti

Per i datori di lavoro (e HSE/HR):

  • DVR mirato alle lavorazioni effettive (non modelli generici), con aggiornamenti quando cambiano attrezzature, procedure o layout.

  • Procedure e istruzioni operative specifiche per le manovre a rischio, con ordini di servizio chiari e tracciati.

  • Formazione e addestramento con contenuti pertinenti alla singola mansione, test di efficacia e registri firmati.

  • Vigilanza documentata: preposti nominati, check-list, audit, contestazioni e azioni correttive; reporting periodico.

  • Gestione DPI: idoneità al rischio specifico, consegna, sostituzioni, obbligo d’uso, controlli a campione annotati.

Per i lavoratori e i loro difensori:

  • Impostare l’atto su evento–nesso–danno e allegazione dell’inadempimento, senza farsi carico della colpa.

  • Curare la prova del nesso (testimonianze, turni, referti, foto, segnalazioni interne) e delle conseguenze.

  • Attaccare le lacune organizzative: DVR non calato sulla mansione, formazione solo teorica, assenza di preposto, vigilanza di carta.

Per i CTU/CTP:

  • Verificare la coerenza tra DVR e lavoro reale, l’efficacia delle procedure, la sostenibilità operativa dei DPI e la tracciabilità dei controlli.

  • Valutare l’assetto dei ruoli di sicurezza (datore, dirigenti, preposti) e l’effettiva circolazione delle regole in reparto.

Una bussola per i giudizi di merito

L’ordinanza invita i giudici a evitare approcci formalisti che, di fatto, riportano sul lavoratore la prova della colpa datoriale. Il fatto (infortunio in occasione di lavoro) e il nesso provati dal lavoratore attivano il vaglio sull’adempimento del datore: valutazione dei rischi, misure tecniche e organizzative, informazione, formazione, addestramento e vigilanza. Solo una prova piena e specifica su questi punti consente l’esonero.

Conclusioni

L'ordinanza riafferma un criterio semplice e operativo: nell’infortunio sul lavoro, il perno è  la sicurezza come obbligo contrattuale. Il lavoratore prova evento–nesso–danno; il datore si libera solo dimostrando un sistema di prevenzione reale, fatto di valutazioni aggiornate, procedure praticabili, formazione mirata, addestramento e vigilanza concreta. La mera elencazione di DPI o l’esibizione di un DVR standard non bastano. È questa la linea che i contenziosi dovranno seguire, con effetti pratici rilevanti sia nelle strategie difensive sia nella gestione quotidiana della sicurezza in azienda.